Musicoterapia: guarire con la musica

Cos’è la musicoterapia?

Per musicoterapia s’intende è l’uso della musica e/o degli elementi musicali (suono, ritmo, melodia e armonia) da parte di un musicoterapeuta qualificato come strumento educativo, riabilitativo o terapeutico.

Tutti i noi riusciamo a renderci conto di quanto la musica agisca sulle nostre emozioni. Ad esempio ci sono alcune canzoni che ci ricordano determinati momenti o situazioni, altre che ci aiutano quando siamo tristi o che ci danno ancora più carica quando siamo particolarmente felici. E a tutto questo c’è una spiegazione scientifica.

Gli effetti emotivi della musica possono essere ottenuti, con meccanismi diversi, dalle note e dal ritmo. Gli effetti del ritmo sono semplici, e dipendono essenzialmente dalla velocità (in termini musicali il “tempo”) della musica. Questa si misura in battiti al minuto. Tempi inferiori a 60 battiti al minuto hanno effetto tranquillizzante, che sotto i 30-40 diventa addirittura rattristante/deprimente, tanto da essere utilizzato per marce funebri. Al contrario, da 80-90 battiti al minuto in su l’effetto è attivante. La musica da discoteca si situa tipicamente da 120 in battiti in su, con una “fascia bassa”, da 107 a 120, per una disco dance “tranquilla”. Perché questi valori, e non altri? Ipoteticamente perché l’attività cardiaca umana normale, in veglia a riposo, si aggira fra i 60 e gli 80 battiti per minuto, tipicamente 70-72. La frequenza cardiaca di una mamma ha effetto sullo stato d’animo del bambino che tiene abbracciato al petto, e che ode il suo cuore . Il bambino è tranquillizzato da frequenze normali, o lievemente più lente, che gli comunicano che la mamma sta bene ed è tranquilla, o addirittura dorme. Frequenze più alte indicano che la mamma è all’erta, o in ansia, e il bambino risponde con analoga attivazione. Questa risposta emotiva alla frequenza di suoni ritmati, in particolare quando ricordano il suono dei battiti del cuore come i tamburi, il contrabbasso e il basso elettrico, probabilmente ce la portiamo dietro per tutta la vita. Le neuroscienze hanno dimostrato che l’impiego della musica come stimolo neuronale può avere una azione serotoninergica e dopaminergica. Da una ricerca condotta presso il Neurolgical Institute and Hospital della McGill University di Montreal e il Center for Interdisciplinary Research in Music Media and Technology si è dimostrato che per produrre dopamina è sufficiente anche solo immaginare il tema di una canzone, pregustandone in tal modo l’andamento melodico, ancor prima di ascoltarla

musicoterapia

Storia della Musicoterapia

Il termine Musicoterapia deriva da due concetti:

  • quello di musike legato alla rappresentazione dell’uomo in parola, suono e movimento;
  • quello di therapeia legato all’assistenza, cura e guarigione.

La musicoterapia ha origini lontane nel tempo, legate sia alla storia che anche al mito. Le culture dell’antichità credevano, infatti, che musica e medicina fossero una cosa sola. Le prime culture associavano allo stato di malattia la presenza di spiriti maligni che dovevano essere scacciati dal corpo e dalla mente del malato. 

 Il primo trattato di musicoterapia risale al musicista Richard Brockiesby, che osservò l’influenza della musica sulle varie malattie, soprattutto mentali; anche il medico S. Porgeter approfondì il rapporto musica-malattia. Verso la fine del XIX sec. Carl Stumpf si dedicò allo studio della psicologia del suono e dei comportamenti causati e influenzati dalla musica- che l’organismo umano subisce attraverso la musica. Inziava così a prendere forma la base degli studi della musicoterapia moderna che si differenziava da quella antecedente, perché non si basava su nozioni empiriche o rituali, ma su studi scientifici, su esperienze cliniche e biologiche svolte con una certa serietà.

Il concetto di musicoterapia come disciplina a carattere scientifico si sviluppa quindi verso la fine del XVII sec, quando cambia il modo di considerare l’uso della musica per scopi terapeutici: si passa da un’idea magico-religioso e/o sciamanica a una disciplina scientifica, supportata da concetti razionali. In Italia i primi esperimenti per curare i pazienti con la musica furono condotti da Biagio Gioacchino Miraglia (1814-1885) che introdusse nell’ospedale di Aversa forme embrionali di ergoterapia, di musicoterapia e psicodrammaLe riflessioni della psicoanalisi sulla comunicazione non verbale, l’idea filogenetica di Darwin di una continuità tra comportamento umano e animale rilevabile soprattutto nella persistenza di modelli comportamentali fondati sul non verbale (gesti, espressioni facciali di emozioni) hanno portato a una profonda trasformazione del concetto di musicoterapia: «il rapporto organismo- suono rilevava in questo contesto l’esistenza  di una relazione molto antica uomo- ambiente, sia sul piano della filogenesi (sviluppo della specie) sia dell’ontogenesi (sviluppo del singolo individuo). Darwin ipotizzò che una certa qualità musicale della voce esistesse nell’uomo ancor prima della comparsa del linguaggio e che una medesima capacità di emettere suoni fosse presente in gran parte del mondo animale […]  quando la voce è usata da una persona adulta sotto la spinta di forti emozioni, tende ad assumere una qualità musicale che ricorda le prime espressioni preverbali usate durante l’infanzia e simili, per certi aspetti, a espressioni vocali adoperate nel mondo animale» (Il suono e la mente, Enciclopedia della Musica vol. IX, Musicoterapia, a cura di Caterina Bunt, 2012:419-439). 

 

Musicoterapia e medicina

muscoterapia e medicina

Ad oggi molti studi dimostrano quanto la musica produca effetti benefici su determinate patologie. Dal momento che questa disciplina è considerata un trattamento di tipo educativo e riabilitativo a tutti gli effetti, esistono corsi di musicoterapia altamente qualificati che abilitano alla professione.

In alcune forma di autismo la musicologia si è rivelata, infatti, molto efficace. In bambini affetti da questo tipo di patologia, ad esempio, si sono riscontrati miglioranti nell’interazione sociale.

Ma non solo, la musicoterapia è spesso associata alla cura di numerosi disturbi psichiatrici, come la schizofrenia o la demenza che trova giovamento nell’ascolto e nel canto.

La musica diviene terapeutica grazie al fatto che nell’incontro con l’altro ci permette di dare vita alla nostra identità sonora. E se è vero che, come dice Aristostole, siamo animali sociali, la presenza dell’altro diventa elemento fondamentale nella nostra vita, a livello emozionale, fisico e cognitivo.

La musica – ascoltata e creata – fa bene al cuore, alla mente, e alla fatica. Il nostro corpo e la nostra psiche reagiscano positivamente al dolore e allo sforzo se questo è accompagnato dalla creazione musicale. Cantare mentre si lavora, suonare un tamburo, creare motivi musicali con gli attrezzi sportivi, aiutano a non sentire il dolore. Un esperimento su 18 neonati di pochi giorni condotto dalla neuro scienziata Daniela Perani, Università San Raffaele di Milano, dimostrerebbe che la musica è già scritta nei neuroni. Lo studio condotto dalla Perani su 18 neonati ha evidenziato che al sentire Bach o Mozart si attiva l’emisfero destro, al sentire note dissonanti l’emisfero sinistro. La sintassi della musica sembrerebbe già scritta nei neuroni: «Alla nascita il nostro cervello è già predisposto a ricevere e interpretare la musica, distinguendola dagli altri suoni». Poi dipenderà dall’abitudine all’ascolto e allo studio la via via più articolata strutturazione delle aree cerebrali preposte per una più sensibile comprensione delle note d’autore.

Il passaggio all’area cerebrale sinistra preposta all’udito avviene, spiega la scienziata, quando si spezza «la sintassi della musica». E’ questa particolare organizzazione delle note che il nostro cervello appare già predisposto a cogliere e interpretare. La parola “sintassi” ci porta a considerare un altro studio di cui ha riferito alla recente conferenza veneziana di The Future of Science il professore Andrea  Moro, docente di Linguistica generale allo Iuss di Pavia. Mostrando anch’egli varie sequenze di brain imaging ha sostenuto l’ipotesi che si nasca con aree cerebrali capaci di interpretare la sintassi del linguaggio umano, quella «trama nascosta» che in ogni lingua trova un senso o no alle parole messe in successione lineare. Secondo questa ipotesi, dunque, sostenuta anche da altri scienziati, il linguaggio non sarebbe solo una costruzione culturale arbitraria, ma sarebbe già inscritto nel suo nucleo nella nostra biologia.

Musica e psicologia: analisi del comportamento musicale

cervello e musica

Secondo Marcello Losti, professore ordinario di psicologia presso l’Università di Cagliari, esiste un profondo legame tra la psicologia della musica e la musicoterapia. Losti considerare il comportamento musicale come un qualsiasi tipo di linguaggio composto quindi da aspetti comunicativi, sintattici, semantici e pragmatici, e aspetti discorsivi. Ne scaturisce quindi che il comportamento musicale dell’uomo, lungi dall’essere un fenomeno naturale, sia una invenzione-costruzione cognitiva e convenzionale, programmata e controllata da strutture mentali che subiscono ampiamente l’inferenza della cultura e della storia di ciascun paese e di ciascuna epoca.

La musicoterapia può essere infatti considerata una terapia basata sulla relazione e viene distinta da generici interventi con la musica che, pur nella loro importanza e utilità, non hanno una connotazione terapeutica. Attraverso l’intervento musicoterapico è possibile indurre cambiamenti a vari livelli: intrapsichico e interpersonale, ma anche comportamentale, fisiologico, etc.. La musicoterapia, come ogni intervento terapeutico, richiede l’integrazione di aspetti fondamentali quali teorie di riferimento, modalità applicative e di verifica che evidenzino la coerenza e l’efficacia della terapia con la musica.

Il musicoterapeuta interagisce con persone le cui diagnosi sono state emesse dai servizi sanitari ufficiali competenti e responsabili dei percorsi terapeutici. La persona, sia essa bambino, ragazzo, adulto è accolta per partecipare al “fare musica”. Inizia una storia in musicoterapia che porterà verso eventi che nessuno può conoscere. Il superamento del giudizio (epoché) è un modo di vivere e rapportarsi con la realtà, che il professionista riesce a fare proprio attraverso il percorso formativo.
Come scrisse Edith Stein, rapportarsi con una persona è porsi in relazione con ciò che si vede, si sente, si può toccare, ossia con la corporeità propria in relazione con la corporeità dell’altra persona.