Musicologia e Neuroscienza

Musicologia

Cos’è la musicologia

musicologia

Con il termine musicologia s’intende lo studio teorico della musica, diverso dall’approccio tecnico-pratico, inteso come performance e produzioni artistiche svolte dai musicisti.

La musicologia ha, infatti, carattere scientifico, essendo legata allo studio delle fonti, sia musicali, sia archiviste: nel suo senso più ampio, questa disciplina comprende tutte le branche della teoria e in particolar modo della storiografia musicale.

Inoltre la musicologia può essere collegata alla neuroscienza e ai processi mentali e cognitivi del fare ed ascoltare musica. Ma facciamo un passo alla volta.

Musicologia e sbocchi professionali: il musicologo

Dal momento che la musicologia riguarda un più approccio di tipo più scientifico e divulgativo, gli sbocchi professionali sono forse un po’ lontani dalla rockstar, anche se, in verità, una cosa non esclude l’altra. Tra le varie Universtià quella di Cremona ha infatti istituito il corso di Laurea in Musicologia e, all’interno dei vari curricula, annovera, quello di musica e spettacolo.

Ma di preciso un musicologo quando si alza la mattina, cosa fa? Il lavoro del musicologo ricopre un’ampia gamma di possibilità. Nello studio teorico e scientifico della musica, un musicologo moderno può integrare una serie di discipline dalla teoria queer alla ricerca sociologica e psicologica. Il famoso Musicologo e docente universitario Guido Zaccagnini ad esempio, oltre ad essere un ottimo pianista e compositore, lavora come critico musicale scrivendo per numerosi quotidiani, riviste specializzate, settimanali, oltre a condurre programmi radiofonici. Lo stesso comunque afferma quanto oggi sia complesso lavorare con la musica, poiché questa disciplina spesso non viene riconosciuta alla pari di molte altre. Sta a volte a noi saperci inventare e reinventare quando le circostanza non ci aiutano.

Guido Zaccagnini – Musicologo

Un musicologo può anche concentrarsi sulla teoria tecnica, guardando gli schemi e la matematica nella musica. La teoria tecnica può diventare piuttosto complessa, specialmente quando un musicologo inizia a confrontare musica di culture o periodi di tempo diversi. L’analisi matematica della musica è in realtà piuttosto interessante, in quanto la matematica è la base della musica; i principi della matematica dettano quali suoni sono graditi all’orecchio e come possono essere organizzati al meglio. Gli scienziati potrebbero anche essere interessati alla musica, sotto forma di acustica, metodi di comunicazione tra animali e cognizione musicale. La ricercatrice Emma Gray, esperta di psicologia clinica e specializzata nella psicologia educativa al British Cognitive Behaviour Therapy and Counselling Service di Londra ha condotto uno studio che certifica che ascoltare musica classica aiuta ad avere un rendimento migliore in matematica. Anche la vita di molti musicisti sembra però confermare la correlazione tra queste due discipline: prima di entrare al Conservatorio di Parigi il direttore di orchestra Pierre Boulez ad esempio fece studi di matematica a Lione; mentre il teorico musicale lannis Xenakis (1922-2001) tra i compositori più rappresentativi del secondo Novecento vantava una laurea in ingegneria.

Le persone che si concentrano sulla musica di altre culture sono spesso conosciute come etnomusicologi. L’etnomusicologia è un campo di studio in crescita perché molte persone sono estremamente interessate a culture diverse dalla propria, insieme ai loro miti, racconti popolari e sistemi di credenze. Può anche rivelare informazioni su quando le influenze coloniali hanno iniziato a penetrare nella musica e su come le popolazioni autoctone hanno affrontato persone di altre culture. Questo tipo di musicologo lavora sul campo, documentando tale musica insieme a racconti popolari e informazioni sugli strumenti musicali.

Insomma, la musicologia apre molte più porte di quanto si pensi, anche quelle della medicina e della scienza. Molti studi dimostrano infatti come la ragione abbia anche un fondamento fisiologico. All’orecchio durante l’ascolto musicale arrivano infatti simultaneamente frequenze, toni (o note) e accordi che, trasmessi al cervello, sono poi rielaborati. La risposta emotiva è causata dai circuiti dei neuroni che si attivano. La musica determina infatti il rilascio di dopamina, un importante neurotrasmettitore che agisce direttamente sul nostro corpo, facendo aumentare la frequenza cardiaca e la pressione del sangue determinando in noi stati d’animo di benessere.

Musicolgia e neuroscienza

musica e cervello

La neuroscienza utilizza da tempo la musica come strumento terapeutico poiché sono ormai noti i benefici che la musica può arrecare al nostro cervello. Una branchia molto importante della musicologia è infatti l’etnomusicologia, profondamente collegata alla neuroscienza. Fin dalle sue origini, l’etnomusicologia si è interrogata sui processi mentali e cognitivi del fare ed ascoltare musica. Basti pensare che il primo centro di ricerca etnomusicale, la cosiddetta Scuola di Berlino, si costituì nei primi anni dello scorso secolo, all’interno di un Istituto universitario di Psicologia.

Dalla notte dei tempi la musica è stata considerata, e lo è ancora, come una componente essenziale delle pratiche di guarigione tradizionali in molte delle culture tribali e indigene in tutto il mondo. Questa convinzione è supportata dalla letteratura riguardante l’etnomusicoterapia, in particolare nel testo “Music Of Many Culture” (1993) dove vengono citate 19 culture che utilizzano la musica in ambito curativo e rituale. La musica nelle pratiche curative sciamaniche viene utilizzata come integrazione nell’induzione della trance ipnotica, per permettere più facilmente allo sciamano di avvicinarsi allo spirito del mondo e stabilire la connessione che possa dare beneficio al paziente.

L’etnomusicologia si occupa delle relazioni tra musica e linguaggio e dei molteplici livelli di formalizzazione fonica e ritmica della parola nelle diverse culture, ma non solo, esiste anche un filone di studi etnologici, psicologici ed etnomusicologici sulle relazioni fra musica e stati non ordinari di coscienza, fiorente soprattutto nel ventennio ’60-’80 dello scorso secolo.

É stato infatti dimostrato come nel lobo temporale risieda un circuito
neuronale che si attiva solo in presenza di uno stimolo prodotto dalla musica, evidenziando l’estrema specializzazione di quest’area cerebrale per la musica stessa. I lobi temporali degli emisferi destro e sinistro sono in grado (anche se sollecitati “artificialmente”) di far vivere o rivivere esperienze musicali. Nonostante questi lobi siano rappresentati bilateralmente, il fatto che in persone prive di qualsiasi conoscenza musicale si verifichi l’insorgere di ricordi musicali evidenzia che:
• sia l’influenza dell’ambiente musicale circostante, che rimane ancorato
per durate insospettabili ai circuiti neuronali;
• sia l’importanza della specializzazione del cervello per le esperienze di
tipo musicale.
Dunque, se esiste una facoltà musicale nel cervello, il suo substrato è
senz’altro situato nelle reti neuronali del lobo temporale superiore del
cervello umano.

Le prime scoperte sulla modularità del cervello, secondo cui la mente può, almeno in parte, essere composta da strutture o moduli neurali innati che hanno distinte funzioni evolutivamente sviluppate, hanno evidenziato il problema della localizzazione della musica. I primi punti fermi al tal proposito erano centrati sul linguaggio, che veniva localizzato nell’emisfero cerebrale sinistro della persona destrorsa; un corollario logico portava a supporre che quello stesso emisfero cerebrale dovesse essere depositario di ogni funzione umana superiore. Alcuni studi successivi hanno evidenziato che è anche l’emisfero sinistro a dare il suo contributo nelle attività musicali ed altri hanno invece dimostrato la dominanza dell’emisfero destro. Un’ipotesi interessante è quella di considerare l’emisfero sinistro come la parte educata del cervello. Essendo i primi studi basati sull’osservazione di professionisti della musica è ovvio che essi dimostrassero la dominanza dell’emisfero esperto (nei musicisti, quello sinistro). Al contrario, poiché gli studi su vaste platee di soggetti interessano persone di qualsiasi provenienza, essi includono una preponderante maggioranza di individui musicalmente non preparati e mettono perciò in risalto l’emisfero destro (dei non musicisti).